Se siete uomini di pace, l’un dei fratelli stia prigione qui: voi andatevene, e portate a casa il grano comperato, e conducetemi il fratello più giovane, ch’io possa aver prova delle parole vostre». Or si vegga come Giuseppe mitighi la sentenza. Sul primo voleva tenersi nove fratelli, e uno solo mandare al padre; adesso uno solo ne vuole, e i nove rimanda, che il padre ne sia meno sgomento e meno accorato. Ciò nondimeno, ai fratelli la cosa sapeva amara; e nell’ubbidire e nel distaccarsi da quel fratello che lasciavano a mani stranie dicevano tra se: «Meritiamo, sì, di patire, meritiamo, perchè abbiamo fatto cosa crudele contro il fratello nostro, che vedevamo l’angoscia dell’anima sua, quand’e’ supplicava che gli avessimo compassione. E però questa disgrazia ci viene sopra». Ecco come le disgrazie ci fanno del bene, richiamando l’uomo a se stesso, rendendogli la coscienza de’ torti suoi, e il desiderio di ripararli. Fortunati chi sanno adoprare le disgrazie come e richiamo d’amore a Dio e a’ prossimi loro.
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Ruben, allora il fratello maggiore, parlò e disse: «Non ve lo diss’io quel giorno? - Non vogliate far male al giovanetto. - E non deste retta. Ecco che ora del sangue suo, c’è richiesto ragione». Eglino non sapevano che Giuseppe intendeva tutti i loro discorsi, perch’egli, come uomo egiziano pretto, parlava con loro per mezzo d’interprete. All’intendere quelle parole, Giuseppe non potè tenere le lagrime, e si trasse in disparte, e pianse. Poi ritornato, prese Simeone, e in loro presenza lo fece legare.
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