Ora disse Giuseppe: «È egli questo il fratello più giovane, che mi dicevate voi altri?». E, senz’attendere la risposta, soggiunse: «Iddio nella sua misericordia ti benedica, figliuolo mio». E nel dirgli figliuolo, gli si commosse l’anima tutta, alla vista del fratello suo, e gli scoppiavano i singhiozzi e le lagrime. E corse via, ed entrò in altra camera, e pianse.
XV
Poi, asciugatosi gli occhi, e fattosi forza, tornò da loro, ordinò mettessesi in tavola. A una tavola sedette Giuseppe, a un’altra i fratelli secondo l’età; primo il maggiore, ultimo il più giovanetto: a altra tavola i signori d’Egitto; perchè gli Egiziani stimavano cosa illecita mangiare in compagnia degli Ebrei. Bisognava scendesse Gesù Cristo e c’insegnasse a convivere fraternamente con tutti, a pregiare tutte le nazioni del mondo come prossimi nostri, cioè vicini al nostro cuore, e amati da Dio; c’insegnasse che nessuna nazione è principe dell’altra, ma tutte come una famiglia; e chi uguale non si stima, è minore; chi si stima da meno e chiede a Dio l’incremento della propria dignità, si rende meritevole d’esser grande. Sedettero dunque; e mangiavano: ed erano confusi, e come storditi. Giuseppe faceva le parti e mandava; e la parte di Beniamino era sempre cinque volte più abbondante che le parti degli altri fratelli. E mangiando e bevendo, fecero cuore alquanto: ma sempre si meravigliavano nei loro pensieri.
XVI
Finito di mangiare, Giuseppe diede quest’ordine al suo maggiordomo: «Empi loro i sacchi di grano, quanto ne cape; e metti in sommo del sacco il denaro, dato da ciascheduno.
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