A que’ poveretti toccava fare i mattoni per quegli smisurati edifizi, taluni de’ quali veggonsi ancora in Egitto, che servivano all’orgoglio de’ potenti, e che adesso, come testimoni immortali, gridano dal deserto a tutti i secoli la vanità de’ fortunati del mondo stolta e spietata.
Vedendo il bravo re, che tante angherie a mortificare quella gente non bastano, disse alle levatrici del popolo d’Israello: «Quando le donne degli Ebrei partoriscono, s’egli è un maschio, strozzatelo: risparmiate le femmine». Uccidendo nel nascere le speranze e la consolazione del popolo temuto, voleva il tristo re assicurare a sè stesso quiete infame e torba allegrezza; non osava egli fare da boia, e commetteva l’ufficio a due povere donne destinate dalla fede pubblica a soccorrere le madri in quelle ambasce che le stringono e lacerano al momento di dover dare al mondo una creatura di Dio. Ma le levatrici temevano Dio; e però disubbidirono all’empio cenno. Costui se ne accorse; e le chiama, e dice: «Che impertinenza è la vostra? Perchè lasciate voi campare cotesti bambini di cotesta gente?». Le levatrici risposero: «Le donne ebree non sono come le egizie; sanno aiutarsi da sè: e, prima che noi si venga, le tante volte, hanno già partorito». E perchè queste levatrici temettero Iddio, le famiglie loro furono da Dio benedette.
Io voglio credere che, rispondendo a quel modo, le pie donne non dicessero punto bugia; o ch’elleno stesse in quel pericolo insegnassero alle donne d’Israello aiutarsi nel parto da sè; o che le donne d’Israello si trovassero allora altre levatrici proprie; o che alcune almeno di quelle povere donne, o perchè povere o per scampare i loro bambini da morte, si guardassero dal chiamare le levatrici egiziane.
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