La madre s’ingegnava di pur tirare innanzi: ma venne quell’ora che bisognò renderlo, e abbandonare la sua creatura alla gente di corte. Quel giorno pareva alla madre come di mettere un’altra volta il suo figliuolo in una navicella ed esporlo tra le scope del fiume. Lo raccomandò con tutta l’anima a Dio, che gli sia padre e madre. Quando venne dinnanzi alla figliuola del re, pianse e disse: «Ve lo raccomando». E il fanciullo piangeva, e non si voleva distaccare dalla sua balia che la chiamava sempre col nome di mamma. La scrittura Santa non ci racconta nulla di lei; nè se il figliuolo, fatto grande, tornasse seco, nè quando ella morisse; e se vedesse in vita taluna delle grandi cose che questo frutto delle viscere sue fece a salute del popolo d’Israello. La figliuola del re dunque lo tenne come proprio figliuolo, e gli pose nome Moisè, che in quella lingua vuol dire: «Dall’acqua l’ho tolto». Adesso noi diciamo Mosè, perchè i nomi, passando d’una in altra lingua, si vengono trasformando; come gli animali e le piante, d’uno in altro clima, mutano di sembianza. Mosè crebbe ammaestrato bene in quelle cose che gli Egiziani sapevano; e ne sapevano di molte, perchè dagli Egiziani molto appresero i Greci, e anco gli Ebrei e da’ Greci, dobbiamo a que’ vecchi Egiziani essere riconoscenti degli studi fatti e delle fatiche durate per amore del vero.
Viveva in corte Mosè: nondimeno si ricordava in cuor suo d’essere figliuolo del popolo d’Israello, e commiserava i fratelli angariati. Quando fu giovane fatto, usciva e conversava con essi; e, sebbene potesse sperare di molti beni mondani dal re e dai signori d’Egitto se abbandonasse il popolo suo e lo rinnegasse, egli portò sempre rispetto ai più poveretti; e, non potendo con altro soccorrerli, usava parole affettuose.
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