E il re tristo e sciocco pensò fra sè, e disse: «Questo popolo è cresciuto in numero grande: or che sarà se smette un poco i lavori?». Impose pertanto il re a’ soprastanti, che facessero le comandate ancora più gravose di prima. «Gli han troppo buon tempo, diceva, cotesti sfaccendati; e per questo si pensano d’uscire e far sacrifizi al loro Dio come a spasso. A forza di fatica attutiamoli, e non avran voglia di dar retta alle imposture di que’ due cattivi soggetti». Ma perchè quel tanto soprappiù di lavoro non era possibile darlo fatto nel tempo assegnato (bisognava cuocere gran quantità di mattoni per que’ grandi e molti edifizi d’Egitto), gl’impiegati del re se la pigliavano co’ capi del popolo ebreo che dovevano rispondere per tutti quanti, e li bastonavano duramente. Questi se ne lamentavano al re; e il re rispose: «Avete troppo buon umore voi altri e non sapete come a me la mi gira. Lavorate, e chetatevi». Allora gli Ebrei soprastanti al lavoro la presero con Mosè e con Aronne, che li avessero fatti venire più in uggia al re, e messagli in mano la spada da far del popolo gli strazi estremi. Così segue spesso che gli uomini coraggiosi sostengano querele e raffacci da coloro stessi a’ chi intendevano di giovare. Mosè per tali querele si scorava; ma Dio gli mise in cuore fiducia novella, rammentandogli le promesse fatte, di trarre Israello dalla vilissima servitù.
S’ingegnava Mosè d’infondere ne’ figli d’Israello la propria fidanza: ma l’avvilimento vecchio e le nuove angherie li fiaccavano tanto che non sapevano dar mente a conforti.
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