Non giurate per essi; non s’oda sulla lingua vostra né manco il nome loro. Rammentatevi che Iddio vi trasse da quella rovente fornace di ferro, dalla schiavitù d’Egitto, per farvi la sua nazione. Conservate i precetti miei tutti, e meditateli sedendo in casa e andando per via, nel coricarvi e nel destarvi dal sonno; raccomandateli a’ vostri figliuoli e a’ nepoti. Amate il vostro Dio e con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze dell’essere vostro. E quando i vostri figliuoli domanderanno che significhino questi riti e queste commemorazioni, direte: eravamo servi d’un re là in Egitto; Iddio ci ha liberati, e ci ha comandato d’amarci sempre».
Ma Dio sapeva che il popolo sconoscente avrebbe poi dispregiato il suo culto, per farsi schiavo agli Dei delle genti: egli annunziava che, in pena di ciò, Israello sarebbe divorato dalle ire e cupidigie degli strani, e che molti mali verrebbero sopra lui, e molti dolori. E però volle Dio che Mosè prima di morire dettasse, come testamento, un canto ai figli d’Israello; e ch’eglino lo conservassero in iscritto ed in mente, come testimonianza del patto formato tra il Signore e loro, patto di libertà sacra e d’amore. Perchè quelle memorie che adesso affidansi alle cancellerie ed agli archivi de’ notari o alle storie, scritte da’ letterati in linguaggio noioso e assai volte difficile, quelle memorie anticamente venivano conservate ne’ canti; e i vecchi le insegnavano ai giovanetti, e le madri ai bambini: e così le ore dell’allegrezza domestica e pubblica, e le feste solenni, erano piene di ricordanze patrie e rinfrescavano nel pensiero le gioie e i dolori e gli ammaestramenti dei secoli.
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