A molti degni usi serve la festa, istituita da Dio per nostro riposo e ammaestramento e conforto. Un riposo, ogni tanto, dalle fatiche e dalle cure ci vuole; che il corpo non venga meno, e non s’accorci la vita, lo spirito non languisca, e nelle sollecitudini mondane e basse non perda della sua altezza e purezza. Che mai sarebbe la vita, sempre occupata a lavorare materialmente, a mettere insieme soldi? Oh che ricco dono, il pensiero della religione, il quale ci innalza sopra le opere e i pensieri servili, ci dona la libertà per un poco, e ci rende tutti uguali davanti all’altare di Dio, anzi più liberi e lieti i più buoni e i più pazienti, che sono assai volte i più poveretti! Che sarebbe del povero, segnatamente in certi paesi, condannato sempre alla fatica dall’avido e duro padrone; che sarebbe del povero se non fosse la festa, ch’è come una tregua assegnata da Dio a questa milizia che è la vita degli uomini sulla terra? E però dice Iddio: «Il settimo dì rimarrai dal lavoro; acciocchè il bue e l’asino tuo si riposino; e respirino il figliuolo dell’ancella tua e il forestiero». Anco alle bestie un riposo è richiesto; anco a quelle dobbiamo aver compassione; e per esercitare questo nobile sentimento della compassione, e anche per utile nostro. Anche coloro che dal lavorare hanno lucro, e par che ci godano, affaticando tutti i giorni dell’anno, lavorerebbero più stracchi, più svogliati, e men bene; guadagnerebbero meno, alla fine de’ conti. Quel ch’è continuo, uggisce e istupidisce.
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Dio Dio Dio Iddio
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