E però un’altra festa era ordinata da Dio in primavera, a commemorare l’uscita della Egizia schiavitù. Erano già piene di queste memorie tutte le feste. In quella stessa del raccolto, comanda Iddio per Mosè: «Seggano teco alla mensa medesima, quasi a rito religioso il tuo figliuolo e la tua figliuola. e il servo e l’ancella, e il forestiero, e il pupillo e la vedova che con voi vivono, e forse debbono nel paese vostro morire. E ti ricorderai che in Egitto fosti servo anche tu». Fosti servo: dice; e ragiona a’ discendenti lontanissimi di coloro che furono servi in Egitto, per immedesimare in virtù dell’affetto i presenti co’ posteri, e i nepoti con gli avi, e fare di tutti i secoli una sola famiglia.
Un’altra festa importa notare, degna, in verità, della sapienza e misericordia di quel Signore che nel suo popolo la istituì. Dice il Signore: «Sei anni seminerai la tua terra, e ne avrai il tuo raccoto: l’anno settimo farai riposare la terra; e di quel che si nasce, mangino teco i poveri del popol tuo, e il forestiero ch’è pellegrinante tra voi. Così farai della vigna, così degli ulivi. Il settim’anno sarà come la festa della terra, l’anno del riposo nel nome di Dio, comune Signore vostro. Anche, conterai sette settimane d’anni; cioè sette volte sette, che fa quarantanov’anni; e all’anno cinquanta, per tutti i luoghi del paese si darà nelle trombe, acciochè si preparino a santificare il giubbileo, ch’è l’anno del rimettere tutti i debiti e del ragguagliare gli averi. Ciascuno ritornerà a possedere quel che un tempo era suo, alla propria famiglia ritornerà chi l’avesse perduta; perchè gli è l’anno cinquantesimo, il giubbileo.
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