E a modo d’echi che ripercuotendo moltiplicano le voci in un tuono cupo, e a modo di specchi che rendono l’uno all’altro un’immagine come se fossero tante, e ciascuna propria a ciascuna, il terrore comunicato cresceva. Si fecero allora sentire grida discordanti; e indarno Càleb e Giosuè, col cenno della mano chiedendo parlare, e alzando la voce sopra quei clamori confusi, si sforzavano d’attutirli. Dicevano: Fidate in Dio Signore, che ci ha sin qui per tante meraviglie condotti; e c’introdurrà in quella terra lieta. Il signore è con noi: non temete. E, vedendo la burrasca della viltà imperversare, sistracciavano di dosso le vesti, vergognando e sdegnati: ma la moltitudine, come acque che si abbassano per accavallarsi, già si chinava per dar mano a’ sassi per lapidarli. E gridavano contro Mosè: Perchè non ci ha egli lasciati in Egitto morire? Perchè non possiam noi almeno lasciare in questa solitudine i nostri cadaveri? Perchè ci traggi tu a perire di ferro? E le nostre donne e i poveri nostri figliuoli rimanere orfani in cattività, nelle mani d’ignoto nemico? - Così per fuggir da una nuova, sognata, sospiravano all’antica insopportabile servitù. Così, giunti anelando a una cima luminosa, impauriti di quel lume stesso, si voltavano a precipitare più per i dirupi nella valle profonda. E soggiungevano: «Che ci vieta ritornare in Egitto un’altra volta? Facciamoci un capitano». E salivano al cielo querele e urla miste, e pianti di diffidenza somigliante a bestemmia. Aronne e Mosè, non irati e non timidi, stavano in mezzo, quasi supplichevoli non per sè, ma per l’onore del nome comune e di Dio, chinando in atto di dolore la faccia.
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