Ma un duro annunzio da ultimo gli era pure forza apportare al popolo suo diletto, che quanto più sconoscente ed errante, tanto più gli era santamente caro; annunziargli una legge che nè egli imponeva nè avrebbe potuto eseguire se il cenno da Dio non veniva. Radunato tutto il popolo, disse che, per il rifiuto di prontamente possedere la terra assegnata da Dio, non l’avrebbero; che, in gastigo dei quaranta giorni di diffidenza infingarda, toccavano loro quarant’anni di vita vagante; che trascinerebbero per tutto quel tempo il peso del fallo commesso; che quanti uscirono liberati d’Egitto sopra i vent’anni, tutti lascerebbero nella solitudine i loro cadaveri; che soli i figli loro godrebbero il bene già a loro stessi promesso; che i due benemeriti di generosa speranza nelle parole divine, Giosuè e Càleb, soli sarebbero privilegiati, che il piede loro calcherebbe la terra contesa che egli medesimo, Mosè, in pena dell’aver diffidato un momento delle meraviglie di Dio, n’era escluso, e doveva nel deserto morire. Piangeva il popolo umiliato.
II
E qui fermiamoci a considerare come questo fatto, fecondo d’ammaestramenti a ciascun uomo e alle intere nazioni, e ai governanti ed a’ popoli, contenga insieme una prova splendida della missione divina di Mosè, e del divino carattere de’ suoi libri. Aveva egli quest’uomo alcuna ragione d’utile proprio per trattare il suo popolo a questa maniera? Aveva egli la facoltà d’avverare il suo vaticinio? Non lo potevano o tosto o tardi smentire i casi?
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