Mosè poteva predire ch’egli non toccherebbe la terra promessa, perchè in suo arbitrio era il morire; ma era egli in suo arbitrio il far morire i compagni suoi, e vivere esso per quarant’anni ancora, infin che l’ora segnata nell’alto suonasse alla sua fine insieme e al principio della sua nazione? Chi congegnò queste cose? chi le disse a lui? chi le fece? Ed egli, il legislatore amato e temuto, il giudice sovrano, il capitano liberatore, doveva nel libro contenente la legge scrivere la confessione del suo proprio fallo, del non avere anch’egli creduto, dell’essere un momento, anche lui, stato di dura cervice e vile; e imporre a sè stesso la pena, e tramandarne, insieme con le memorie della propria grandezza, la memoria ne’ secoli. Governanti che dispregino e conculchino chi li ubbidisce fedele e credulo, che del disprezzo dell’umana natura facciano a sè grado e armatura e ornamento, pur troppi esempi ne abbiamo; ma ditemi dove un uomo che tanto s’innalzi sopra i suoi pari, e tanto si appareggi con essi; che li riprenda durissimamente, e che tanto teneramente li ami e che riprenda umilmente se stesso con tale sentimento della propria dignità? Dove un popolo che nel libro della sua storia e della sua fede, soffra tanto acri giudizi di sè e nel ripeterli ponga la sua consolazione e la gloria mentre che altre nazioni, quando credono a favole, e se le foggiano, non lo fanno se non per adulare sè stesse e i torti propri, palliare? Non son opera d’uomo nè tali fatti nè tali parole. E le parole son più che fatti; giacchè questi le seguono ubbidienti.
| |
|