«Prendi la carne e il pane, e posalo su quella pietra, e versaci il brodo su», disse l’Angelo. E fece così Gedeone. Allora l’Angelo del Signore toccò con la punta della mazza che teneva in mano que’ pani e quella carne; e subito dalla pietra uscì fuoco, e consumò i pani e le carni. E l’Angelo del Signore sparì dagli occhi di lui. Conobbe Gedeone ch’egli era un Angelo del Signore, e disse: «Ahimè, Signore Dio mio! I’ vidi l’angelo del Signore a faccia a faccia». E una voce dall’alto disse: «Pace sia teco. Non temere, chè tu non morrai». Rizzò Gedeone un altare quivi, e lo chiamò Pace del Signore; il qual vocabolo rimase al luogo per molt’anni poi.
Qui vediamo come l’Angelo del Signore non solamente non sdegna rivelarsi agli occhi d’uomo che ama d’amore coraggioso la patria, ma lo infiamma all’opera del liberarla dagl’ingiusti nemici, e gli promette l’aiuto del Cielo, e conferma con meraviglie la promessa sua santa. E nel gradire gli schietti doni dell’ospitalità, che dalle tradizioni religiose e civili dei popoli è fatta cosa sacra e rito solenne, e vincolo di memorie che si distendono da clima a clima e da secolo a secolo, congiungendo le distanze, de’ luoghi e de’ tempi in un affetto e riducendo l’intera umanità a una famiglia; l’Angelo benedetto, non senza mistero, vuole che sia sopra i cibi versato il liquore, per quindi col tocco del suo bordone di pellegrino renderne più mirabile la consunzione subita, come d’accetto olocausto. Così piace a Dio, nella liberazione de’ suoi diletti, sovente moltiplicare le umane difficoltà, non solo acciocchè l’opera divina apparisca maggiormente evidente, ma che l’uomo forte con modestia costante, e senza ostinatezza s’addestri a dedurre delle cagioni stesse del disperare ragioni d’umile speranza operosa.
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