E certamente, se l’idolo non v’era che lo contaminasse, il bosco (con l’ombra mesta rallegrata dai raggi del sole penetranti tra foglia e foglia, quasi zampilli di luce che spicciano di mezzo al verde; col verde di varie tinte, dal bruno carico delle piante forti al chiaro e quasi gialleggiante degli arboscellini giovanetti; col mormorìo de’ ruscelli correnti sotto, o col rumore de’ lontani torrenti; col canto degli uccelletti innocenti, e col grido del falco nelle solitudini altissime; con lo stormir delle frasche commosse dal vento o da’ cervi fuggenti; con quella vita rigogliosa e quieta che si diffonde da ogni fronda e da ogni fiorellino odoroso appiè degli alberi antichi) il bosco poteva, empiendo l’anima di pace pensosa, levarla all’invisibile Dio, creatore, sempre presente, di tante opere belle. Ma l’uomo infelice per disviarsi da Dio, abusa troppo sovente delle opere belle. Quei boschi pertanto, fatti ricetto di cerimonie non lecite, erano come nido di serpi tra’ pruni; e conveniva sterparli. I sacrifizi che Dio ingiungeva agli Ebrei, erano d’animali: non già che Dio n’avesse di bisogno per sè, chè di nessuno offerta nostra egli ha di bisogno; ma chiedeva dall’uomo che gli presentasse una piccola parte anco de’ beni visibili, ricevuti dall’alto; e scegliesse tra le offerte qualcosa di pregio in segno dell’essere pronto al danno e al dolore, per fine degno. E quest’è la ragione che noi chiamiam sacrifizio ogni perdita che ci costi, e che sia donata con animo generoso.
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