E fece d’uccisi un gran monte; gli altri sperperati, che non ne rimasero insieme due. Vennero que’ di Jabes a rincontro, ringraziando e Saul e ciascuno de’ figli d’Israello, più il Signore che li aveva ispirati di sì pio coraggio. E il popolo d’Israello, nell’ebrezza della vittoria, attribuendone tutto il merito al re novello, e diceva a Samuele: «Chi «son que’ felloni che dicevano: Saul non regnerà sopra noi? Dateceli qua, chè li vogliamo ammazzare». Ma Saul, più savio di loro, e non ancora accecato da’ fumi dell’orgoglio: «No, disse, non s’ha a uccidere persona in questo dì che il Signore ha operato salute e gloria in Israello».
Vincere la vanità era più bello che vincere le armi nemiche.
Gli abitanti di Jabes serbarono gratitudine a Saul di quel giorno tremendo: e quando venne sopra il misero re la sventura, quand’egli sul campo di Gelboe cadde morto co’ figli, quando i Filistei gli troncarono il capo e spogliarono dell’armi il cadavere, e l’armatura e il teschio portarono (crudele memoria) ne’ loro templi; allora gli uomini di Jabes raccolsero i corpi di Saul infelice e de’ figli, e li seppellirono in Jabes appiè d’una querce, e per dolore digiunarono sette dì. Preziosa riconoscenza, più preziosa che oro e gemme e statue e monumenti, rizzati a pompa di dolore mentito.
Morì, come poscia vedremo, Saul oppresso dalle maledizioni che gli aveva provocate il regio suo orgoglio dissennato; e molte volte s’ebbero i figli d’Israello a pentire d’averlo voluto a re. Ma che cosa fu ad essi cagione o pretesto a volere una testa di re?
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