Il popolo d’Israello, spauriti, si nascosero per le caverne de’ monti, e per le spelonche selvose, e tra le rocce deserte, e nelle vuote cisterne sotterra; altri passarono il Giordano a cercare scampo di là. Quelli che rimanevano a Saul e a Gionata figlio suo, soli secento, di tremila che erano sulle prime; e sgomenti se ne stavano in Ghibea, del paese di Beniamino. I Filistei scendevano da Macma in tre schiere, da diverse bande, a saccheggiare il paese. E avevano que’ stranieri ne’ precedenti anni condotto Israello a tale estremità, che in tutto quel popolo non si trovava un armaiuolo nè un fabbro ferraio da poter fare spada o lancia; e, per arrotare il vomero o il pennato o il forcone o la marra, bisognava ricorrere agli stranieri. Onde il taglio dei vomeri e delle mannaie e delle marre in Israello, dopo la guerra rotta, non era più buono; e non si trovava per il dì della battaglia nè spade nè lance. A tale era divenuto il popolo sotto il nuovo governo.
In questo estremo di cose, Gionata figliuolo di Saul dice un giorno al suo scudiero: «Vieni, che passiamo a vedere il nemico dappresso». E quel che intendeva fare, non disse nemmeno al padre, che se ne stava sul confine di Gabaa, sotto il melogranato di Migron; e i suoi secento aveva seco. La via di Gionata per giungere al posto nemico, era di massi sporgenti dai due lati, a guisa di denti; e le rocce dall’un lato si chiamavano Bose, dall’altro Sene; una delle punte sporgeva verso tramontana di contro a Macma, l’altra verso mezzodì contro Ghibea.
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