Gli andava innanzi lo scudiere, pieno di baldanza quasi più del signore. E, venuto nel mezzo della valle, dov’era più sgombro d’alberi, stava il gigante pavoneggiandosi; e gridava verso l’esercito d’Israello: «Perchè dunque siete venuti a far le viste di attaccare battaglia? Non sono io forse un Filisteo, e non siete voi altri i servi di Saul? Scegliete un de’ vostri che venga a provarsi qui meco. S’egli mi vince, noi saremo servi vostri; ma s’io l’ammazzo, sarete voi i servi nostri, e ci servirete». E stava aspettando risposta con alta fronte. Ma tutti d’Israello tacevano per paura. Re Saul, perduto l’ardimento delle prime vittorie, giaceva accasciato come da una malattia di sgomento; non conosceva sè stesso, non sapeva nemmeno sentire vergogna. Gli altri, guardando a lui, prendevano quasi coraggio a non avere coraggio. «E chi (pensavano) può venire al paragone con forza d’uomo così smisurata?». E non innalzavano a Dio la mente. I migliori pregavano senza speranza; pregavano di poter scampare al pericolo, non di salvare da vergogna Israello. Il Filisteo se ne ritornava col suo servitore; e diceva ai Filistei boriosamente: «Io li ho chiamati fuora; ho gridato a tutti e a ciascuno di quella turba de’ servi di Saul, che scelgano un uomo il quale venga a battere due colpi meco. E’ fanno il sordo all’affronto». Nota come Golia chiama il popolo d’Israello servi di Saul; la quale parola non si sapeva che cosa volesse dire al tempo che gl’Israeliti si reggevano a giudici.
Dunque Saul e tutto il popolo stavano istupiditi dalla paura.
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