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      Si sentiva impazzare. I servi suoi non osavano chiedergli la cagione di quell’umore nero; non ardivan nemmeno guardarlo in faccia, per tema ch’egli temesse d’essere spiato nell’intimo suo come un suddito, giudicato, come un reo, egli re. Nondimeno si fecero animo a consigliarli che provasse di vincere quello spirito di tristezza con l’armonia del suono e del canto, come prima soleva. Da assai tempo Davide, al quale Iddio aveva, tra gli altri doni, dato questo dell’accompagnar colla cetera e con la voce forte e soave le armonie del pensiero, Davide, dico, era scelto a quetare, cantando, gl’impeti dementi di Saul: e a quel suono l’anima del re si quetava, com’acqua che s’appiana, e, non più torba, rimanda all’occhio i colori del cielo e gli alberi della riva.
      Un giorno dunque che il giovane gli rendeva questo servigio di pace, re Saul se ne stava col mento sul petto, e con gli occhi di sotto in su sogguardandolo fieramente. Accanto aveva la lancia e Davide stava presso la parete di faccia. Quando una furia lo prende, dà di piglio alla lancia, e s’avventa per configerlo alla parete. Ma Davide antivide il colpo, e, gettando la cetera, uscì. Cadde la cetera del pastore, e cadde sulla cetera la lancia del re, rimbalzata dal muro; e le corde percosse diedero un suon di lamento. Si riscosse il disgraziato; e, inorridito di sè, coperse con le mani la faccia. Conobbe che Dio era col giovanetto. Temeva oramai fargli torto, temeva rendergli onore.
      In questa battaglia di paura, d’invidia, di riverenza, di vergogna, si pensò di dargli il comando di mille guerrieri; che, nel suo ardire, corresse al pericolo, e che portata dal turbine della guerra si dileguasse per sempre quella vivente minaccia.


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Esempi di generosità proposti al popolo italiano
di Niccolò Tommaseo
Edizioni Paoline
1966 pagine 258

   





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