Per sapere quel che avran detto, e quel ch’è a fare, verrete da quel sentiero dov’è il masso che chiamano D’Ezel, e starete tra la montagna e gli alberi delle falde. Io tirerò come al bersaglio; ne scoccherò tre delle frecce; e al mio servo dirò: Va, raccattale. Se dico al ragazzo: Le frecce eccole di qua da te; segno è, Davide, di pace, e che potete venire senza pericolo di male: com’è vero Dio. Se dico: Le frecce sono di là; allora, Davide, andatevene, chè Iddio vuol così. Di quel che abbiamo parlato, rimanga nel vostro petto; e ne sia Dio testimonio e giudice tra voi e me in sempiterno». Si baciarono; e Davide si nascose fra gli ombrosi sentieri della salita.
Il dì della festa, quando il re Saul si mise, secondo l’uso, a sedere sul seggio ch’era accosto alla parete, il capitano di Saul, gli sedette al fianco; rimase vuoto il posto di Davide. Saul non disse parola quel giorno, pensando che qualche impedimento tenesse il genero lontano, o non volendo forse mostrar di badare a lui più che tanto. Ma il giorno dopo, non lo vedendo a tavola, domandò a Gionata suo figliolo: «Che vuol dire che il figliuolo d’Isai non s’è, nè ieri nè oggi, lasciato vedere?». Non lo nomina nè Davide nè suo genero; ma figliuolo d’Isai; perchè i grandi del mondo nel misurare i gradi della noncuranza e nell’inventare artifizi di dispregio, sono sottili molto e immaginosi. Quel titolo suonò tristo al cuore del buon Gionata, il quale rispose: «Mi pregò tanto poter ire in Betlemme che uno de’ suoi fratelli lo chiamava al solenne sacrifizio; e mi supplicò che lo lasciassi vedere la sua famiglia per questo non è venuto».
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