Ma egli si sdegnò del pretesto; e a esasperare il rancore si aggiunse l’orgoglio: e questa cosa lo punse, che il figlio stesso paresse prendere a giuoco lo sdegno suo, e credesse abbonirlo con due parolette, come fanciullo che piange. Si credette attorniato da cospiratori, siccome sovente si fingono i prepotenti, che primi cospirano di per sè stessi alla propria rovina.
Gionata uscì confuso di dolore, che dovesse apportare a Davide novella così fiera; dovesse annunziargli che suo padre, che il re d’Israello, era un pauroso omicida. Uscì senza gustar cibo quel giorno di festa. E la mattina sull’alba venne nel campo là dov’erano intesi che Davide l’aspettasse: e un giovane servo era seco. Perchè non ha egli chiamato quel fedele scudiero che s’inerpicò con lui sotto alle lance nemiche su per l’erto scoglio di Sene? Era bene degno quel prode d’accompagnarsi a Gionata in questo uffizio d’amicizia generosa. Ma forse quello scudiero era morto in battaglia, forse lontano; forse non voleva Gionata dar sospetto andando per i campi in compagnia d’un armato. Giunti alla pietra d’Ezel, ei disse al giovanetto: «Va’, e riportami le saette ch’io getterò». Scoccò e fece volare la saetta oltre al luogo dove il fanciullo era corso. E gli gridò a voce alta, ma tremante dall’ansietà e dall’affanno: «Ell’è più là». E poi soggiunge: «Presto». Il giovanetto raccolse le frecce, e le portò al suo signore; Ma non sapeva di che quella parola era segno. Gionata e Davide soli sapevano della cosa. Diede Gionata le armi al giovanetto «Va’, portale a casa», gli disse.
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