I soldati che per pietà non ubbidirono alla voce del re, potevano impedire il macello, e con preghiere, e se bisognasse, con minacce, stornarlo; e avventandosi sull’Idumeo, troncargli il braccio scellerato. Ma forse attoniti alla crudel vista, forse avvezzi a servire stupidamente al volere del re, si smarrirono. Meno male che non si siano col braccio proprio fatti alla scelleratezza ministri; e preghiamo Dio che di questo coraggio almeno faccia tutti gli uomini degni. Incominciando a non servire l’altrui violenza, troveranno col tempo le forze e le vie d’inibirla.
Non sazia di tanto sangue l’ira di Saul, mandò l’Idumeo alla città di Nobe nella quale abitavano i sacerdoti, che trucidasse tutte quante le loro famiglie; e pur troppo si rinvennero sgherri che l’aiutarono a questo. Solo un giovanetto della casa d’Achimelec, di nome Abiatar, scampò, e corse a Davide annunziando dei sacerdoti del Signore le morti. Davide inorridito disse ad Abiatar: «Che, essendo in Niobe Doeg idumeo, l’avrebbe rapportato al re Saul, i’ lo dovevo sapere. Reo di tutto questo sangue son io». E sentendo rimorso e vergogna dell’aver mentito ad Achimelec, disse al giovanetto Abiatar: «Non temere; rimani meco. Se vorranno la tua, egli hanno prima a prendersi la mia vita. E s’io mi salvo, e tu sarai salvo». Sappiam grado a Davide che non rigettò dal suo seno quel giovanetto, come un rimprovero della imprudenza propria; che gli confessò schiettamente se essere colpevole del sangue de’ suoi che non temette con ciò l’odio o il dispregio dell’orfano desolato, ma credette poterlo consolare, e lo consolò veramente.
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