Padre lo chiama una volta; più d’una, re. E se gli dice pur chiaro: «Io vi potevo dar morte, e v’ho risparmiato», lo dice perchè gli uomini non generosi non dànno credenza all’altrui generosità; e paiono stare a questa scuola come ragazzi svagati e come uomini mentecatti. Da ultimo non può a meno Davide di parlargli di Dio; e chiama Dio testimone del vero, e giudice della lite: tra il suo ferro levato e il nemico inerme, egli colloca Iddio come scudo all’inerme nemico.
Nelle parole di Davide il cuore di Saul si ammolliva a poco a poco in sè stesso; come neve, tocca dal sole di maggio, comincia a struggersi per dar luogo al verde e ai fiori che, quasi bambino nel seno materno, aspettano ch’ella ceda. E quando Davide ebbe finito di dire, Saul, dopo un breve silenzio, come aspettando altre voci, e poi per raccogliere il proprio pensiero, gli disse: «Non è egli questa la tua voce, o Davide figliuolo mio?». E nel voler profferire a voce alta altre parole, non potè più; lagrimando sedette sul masso, com’uomo stanco; e soggiunse: «Tu sei più buono di me, Davide: tu m’hai fatto del bene; e io resi male a te. E oggi m’hai dimostrato che non mi vuoi male, ma bene; chè Dio m’aveva messo nelle mani tue, e non m’hai morto. Difficile incontrare un nemico, e lasciarlo ire in pace. Ti renda il merito Iddio, di questo che hai fatto oggi, o Davide, verso di me. Ora vedo certissimo che il regno d’Israello deve alle tue mani venire. Giurami, o Davide, nel nome del Signore, che non disperderai la mia discendenza, che il nome mio e del padre mio non morrà in Israello». E lo giurò Davide a Saul.
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