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      Il re, ferito, non poteva più combattere nè ritirarsi. Allora chiamò il suo scudiero: «Prendi la tua spada, uccidimi; non venga il nemico a fare strazio e scherno di me». Ma lo scudiero non volle; e la pietà col terrore l’aveva come tratto di sè. Allora Saul diè di piglio alla spada, e le s’abbandonò sopra con tutta la persona. Lo scudiero, vedendo cadere il signor suo, disperato volse il ferro in sè stesso.
      E’ poteva e doveva serbarsi per dar prova di fedeltà e di valore ai sopravviventi della regia disgraziata famiglia, abbisognante ormai della misericordia de’ più miseri tra’ suoi servi.
      Poteva Saul volgere il pensiero agli anni passati, coprire i suoi torti col pentimento; poteva innalzare gli occhi al cielo, e, soffrendo questo scorno come ammenda de’ suoi folli orgogli, sperare nel Re ch’è Signore vero, pio non meno che grande. Ma l’orgoglio l’aveva come rannicchiato in sè e non pensava a tanti innocenti morti, a tanto pericolo del popolo datogli in custodia da Dio; non sentiva che sè.
      Que’ del popolo d’Israello, ch’erano di là dal Giordano, al vedere la strage e la rotta, abbandonarono le loro città, nelle quali i Filistei fecero impeto. Il giorno dopo tornarono essi Filistei sul monte di Gelboe per ispogliare gli uccisi; e, trovato Saul e i suoi tre figliuoli, tagliarono il capo di Saul, e spogliarono delle armi il corpo; e per tutto il paese mandarono della vittoria novelle. L’armatura posero in un tempio degl’idoli loro; lasciarono appiccati a un muro il cadavere suo e de’ suoi figli.


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Esempi di generosità proposti al popolo italiano
di Niccolò Tommaseo
Edizioni Paoline
1966 pagine 258

   





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