Domanderà forse taluno chi è avvezzo a sospettare il male laddove appare il bene, e che getta via il liquido puro per vederne e assaggiarne la posatura come delizia, domanderà: Era egli sincero cotesto dolore di Davide? Io dico che sì. Come, quando l’uomo patito dal freddo, comincia a scaldarsi, allora si risente del freddo che sta per fuggire, e nuovi brividi gli ricercano tutta la persona; come, quando l’ammalato ricomincia a riaversi, e allora più che mai sente l’abbattimento del male che passa; così gl’infelici, quando la condizione loro sta per mutare, si rappresentano tutti in un fascio i patimenti ch’egli hanno patiti; e si conturbano delle passate disavventure, più forse che quando ne ricevono le percosse a una a una. Nel dolore di Davide si congiungeva non solo la pietà del suocero morto, la pietà di Gionata, di quel dolce amico che gli aveva salva la vita, e col santo affetto accompagnatagli la fuga e la solitudine; ma s’aggiungeva la memoria de’ proprii dolori tanti, che confusi gli si rimescolavano nell’anima, come turbine che allora spira più forte quand’ha a sbrattare le nuvole e tornare il cielo sereno.
Un altro pensiero doveva a Davide far più tetro l’avvenimento al regno: dico la misera fine del povero re d’Israello, l’esito vergognoso al quale riuscirono tante superbie e prepotenze. E sempre, anche dopo, al passare da Jabes in Galaad, al vedere di lontano le montagne di Gelboe, una voce di minaccia si sarà fatta sentire all’anima del re novello, quasi campana di morto in un giorno di nozze, quasi nuvola di occidente che annunzia domani burrasca.
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