Il grave dunque, che mentre stava fermo aveva momento d'una libbra, dopo la caduta corrispondente alla seconda particella del tempo diviso, averà momento almeno [di due libbre, e nel fine del terzo tempo averà momento almeno](1) triplicato di quelche aveva quiescente: nel fine poi del centesimo tempo avrà forza almeno centuplicata di quella che aveva nello stato della quiete, cioè forza almeno di cento libbre. Ma nel fine della centodecima, ed ultima particella di tutto il tempo diviso, cioè nel punto della percossa, bisognerà che abbia forza maggiore che di cento libbre. Col medesimo progresso s'inferirebbe aver forza maggiore di mille, e d'un milione. Provandosi dunque che un grave cadente ha forza maggiore di qualunque forza finita, par che seguiti ch'e' si possa dire aver egli forza infinita.
Ma le obbiezzioni son più gagliarde che prima; poiche se la forza delle percosse fosse infinita, doverebbe ogni percossa benche piccola, fare effetto infinito; ma noi vediamo che qualunque percossa benche grande, fa effetto terminato, ed anco spesse volte insensibile; come chi battesse sopra l'incudine col martello, che fa egli più di quello che farebbe se ve lo tenesse fermo?
A questo si può risponder così. Allora seguirebbe l'effetto infinito ad ogni benche piccola percossa, quando la percossa fosse momentanea; cioè quando il percuziente applicasse tutto quel cumulo di momenti, che egli ha dentro di se aggregati insieme, che sono veramente infiniti, e gli conferisse tutti al suo resistente in un solo istante di tempo.
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Lezioni accademiche
di Evangelista Torricelli
Stamperia Guiducci e Santi Franchi Firenze 1715
pagine 166 |
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