È dunque ragionevole la causa del dubitare, se negli urti abbia che far cosa alcuna la quantità della materia. Esperimentiamo ora, se con principio simile a quello, che pigliammo già nella considerazione della percossa naturale, riesca intendere qualche cosa ancora intorno alla generazione della forza dell'urto ancora.
Figuriamoci in uno Stagno, ovvero in un Porto sommamente tranquillo, un vastissimo Galeone lontano dalla sponda, per esempio dieci passi, e che un uomo lo tiri per via d'una fune con tutta la sua forza. Io per me credo, che quel Vascello ancorche pigro, quando arriverà a percuotere, darà tal urto nella sponda, che potrebbe far tremare una torre. Se l'istesso uomo dalla medesima distanza, con la medesima forza, per l'istess'acqua tranquilla, tirerà una piccola Filuca, o piuttosto una leggierissima tavola di abeto; questa nell'arrivare alla sponda, urterà essa ancora, e con molto maggior velocità, che il Galeone; ma però io crederei, che non facesse la millesima parte dell'operazione, che averà fatta lo smisurato Vascello. Cercasi la causa di questa diversità d'operazione. Quì la forza dell'urto non procede dalla velocità, poichè la tavola d'abeto urta con maggior velocità, che il navilio; la potenza che ha tirato tanto l'uno, quanto l'altro, è stata la medesima, e pur la maggior mole fa maggior effetto. Resta dunque, dirà qualcuno, che la causa s'attribuisca alla quantità della materia, Contuttociò io sarei di parere, che ne anco la materia vi avesse che far cosa veruna.
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Lezioni accademiche
di Evangelista Torricelli
Stamperia Guiducci e Santi Franchi Firenze 1715
pagine 166 |
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Stagno Porto Galeone Vascello Filuca Galeone Vascello Contuttociò
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