Tronchinsi oramai le superfluità de' discorsi, essendomi con lunghezza pur troppo noiosa affaticato nell'esporvi sì alti concetti, lasciati da quel sapientissimo Vecchio sopra la Forza della Percossa.
Dicemmo, che la gravità ne' corpi naturali non dorme mai, ma continuamente lavora: che però in ogni brevissimo tempo procede un impeto eguale al peso assoluto del corpo pesante. Dicemmo anco, che i medesimi gravi mentre cadon per aria, conservano detti momenti, non avendo solido alcuno sottoposto, che coll'opporsi gli estingua. E che però la moltiplicazione delle forze d'ogni grave cadente, quando arriva a percuotere, dee esser infinita. Si produssero alcune ragioni; perchè causa dunque non seguisse l'operazione infinita, se infinita era la virtù. In quest'ultima parte della percossa artifiziale abbiamo detto, che la forza dell'urto non dipende altrimenti dalla quantità della materia; poiche se ciò fosse, converrebbe, che la medesima palla di sessanta libbre di ferro, facesse sempre la medesima operazione, lanciata una volta da un uomo, ed una volta avventata da un Cannone. Non dipende ne anche assolutamente dalla velocità: perchè con maggior velocità urterà una tavola d'abeto tirata per l'acqua quiescente, che un vastissimo Galeone, e pur il meno veloce farà maggiore violenza nell'urtare. Si può dunque con ragione affermare. Che di qualsivoglia corpo velocitato da potenza esteriore, l'efficacia nell'atto dell'urtare non sia altro, che virtù impressagli dalla potenza di chi l'avrà mosso.
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Lezioni accademiche
di Evangelista Torricelli
Stamperia Guiducci e Santi Franchi Firenze 1715
pagine 166 |
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Vecchio Forza Percossa Cannone Galeone
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