Gl'Italiani non ebbero Cavalleria; le loro patrie infondevano ne' petti la virtù. Su le mura di quella torreggiava una idea che innamorava tutti i cuori, a tutti si dava in premio, e li sorreggeva nella guerra. Il valore guerresco degl'Italiani era un bisogno non prodotto dalla natura dell'individuo personale, ma dall'individuo sociale, ossia dall'amore della patria, che è l'amore di noi stessi perfetti nel complemento della società. Perciò la virtù tutta estetica non involgeva vizio materiale, perchè purificata dalla santità della ragione, che come fuori dell'individuo, imperava dall'assoluta morale.
Adunque nel mondo germanico la virtù militare (poichè in quello non era altra palestra ad esercitare l'uomo, che la forza materiale) non era una ispirazione del cuore compreso della coscienza di un principio morale più nobile dell'uomo stesso, come semplice individuo. Infatti a muovere gli uomini a generosi fatti, fu mestieri collocarli sotto la influenza dell'amore, ed a rimeritarlo d'estrinseco guiderdone fu necessaria la costituzione de' feudi. Un cavaliere che tornava dalla guerra, a premio di valore riceveva dal principe il dominio di un castello, il diritto di far provare la schiavitù a' suoi simili. La natura del premio avviliva la ragione della virtù. Non troviamo che i tornati dalla battaglia di Legnano ricevessero feudi. Per essi non fu d'uopo dell'artifizio de' premi, bastava la fortissima voluttà d'aver fugato il Tedesco, d'aver francata la patria: così il premio, e la virtù si sorreggevano a vicenda all'altezza del principio agitatore.
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