Queste cose che discorro degl'Italiani, particolarmente attribuisco alle città Lombarde, perchè non soffogate da presente monarchia, potettero addimostrare co' fatti l'indole che recavano. La inferiore regione non ebbe tempo nè agio a questa dimostrazione, perchè subita, continua fu la oppressione del materiale spirito germanico, che dopo lo sregolato scorrazzare di Goti e Saraceni si affortificò nei principati longobardi, e nella monarchia normanna. Ma Italiani erano gli Abbruzzesi; i Campani, i Pugliesi, i Calabri; anzi questi, perchè immediati alla Grecia, e tramandatori per le loro vene a tutta Italia del greco sangue, più capace anima avevano al concetto di una patria. Ma compressa in essi la rigogliosa individualità, disperando la via della creazione pel culto del Bello, gemendo si posero per quella del Vero: primi gridarono la libertà della Ragione, primi crollarono la Monarchia di Aristotele; e non potendo su questa terra edificare una patria a se stessi viventi in società, n'edificarono una alla ragione di tutti, la Filosofia. Dante e Michelangelo a Firenze, Campanella e Telesio a Napoli.
Adunque la divisione degl'Italiani, e quello che chiamano spirito municipale moltiplicando le patrie nel seno della comune madre, moltiplicò le vie, per cui la vita dell'individuo liberamente corse, si rinfocò, si magnificò nel supremo scopo, a cui mettevano quelle vie, dico in una patria. Questa era l'opera di un popolo fornito di una individualità singolare, che precorre i tempi e le altre nazioni nel cammino della civiltà; ma non era ancora l'opera di un popolo, che è giunto a maritare la vergine ed aitante sua natura al dogma dell'unità morale.
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