Ercole, che, come recita Senofonte, messo tra Minerva e Venere, la virtù e la voluttà, piuttosto a quella che a questa si appiglia, per cui addiviene un prodigio di fortezza, è il vero Iddio de' Greci. In lui è il dogma dell'abnegazione, madre di ogni virtù; in lui la divinità del cittadino. Così la gerarchia nella Teogonia de' Greci non è consigliata dai sensi, ma dalla ragione. In Giove il principio della sapienza, da Giove la sapienza simboleggiata in Minerva partorita dal suo capo. Negli Dei la virtù assoluta, ne' Semi-Dei dapprima la virtù relativa ed imitabile, poi per l'Apoteosi resa assoluta agli occhi degli uomini. I Babilonesi gli Egizî confusero il culto de' loro Dei con quello de' loro Re; perchè la ragione del culto del Sole, delle bestie e dei Re era comune. I Greci non adoravano mai altro uomo prima che fosse stato deificato per l'Apoteosi, ossia prima che fossero certificati della loro virtù. A questa il culto, non all'uomo. Adunque la religione presso i Greci incominciò a rinsanguinarsi di certa moralità, perchè avesse potuto essere religione della patria. Questa la richiedeva, e questa gelosamente la vegliava. Presso gli altri popoli la religione non toccava che l'individuo; in Grecia informava la società. Il famoso consiglio degli Amfictrioni, che per ben due volte l'anno si assembrava a Delfo ed alle Termopili, ai tempi in cui la Grecia si reggeva in dodici monarchie, è una prova di quel che affermo. Ciascun principato vi spediva due oratori, uno deputato agli affari religiosi, uno ai civili.
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