Ricordavano come le feste della incoronazione di Arrigo si fossero volte in lutto; abbruciata, manomessa, disertata la città dai Tedeschi che la campeggiavano fuori. Corrado tenne quell'abbattimento del palazzo come una solenne fellonia; credendo che il tenersi Re d'Italia nella Germania fosse un esserlo davvero nella stessa Italia. Volle rilevato il palazzo nella città; non vollero i Pavesi; si venne alle armi: e questo popolo solo non dubitò di aspettare pettoruto le furie del Tedesco. Sostenne un aspro assedio per due anni: la fame lo costrinse alla resa. In questo fatto non troviamo Principi, bensì popolo che comincia dall'abbominare forestieri capestri, ed a menare generosamente le mani. Nè fu un moto subitaneo, ma duraturo: il popolo in Pavia per due anni si tenne in armi, e dagli spaldi della città provvide a se stesso, e virtuosamente si difese. L'incontinente ferocia dei nuovi signori accelerò molto la emancipazione del popolo. La feudalità opprimevalo, lo pungeva il Tedesco; per quella paziente poltriva, per questo inacerbito scuotevasi: ed in petto italiano, io credo, che il potentissimo concitatore a sdegno sia appunto quella generazione di stranieri. Si alzavano gli spiriti, si accendevano gli sdegni contro quei dominanti, e così si educavano gli animi ad abborrire ogni altra dominazione, che uccideva ogni onesta libertà civile.
Era spina nel cuore anche ai Principi italiani la signoria tedesca. Mentre Corrado si teneva loro Re, essi pensavano a crearsene un altro.
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