Così tra per l'impeto del popolo che afferrava la sospirata libertà, e per le concessioni degl'imperanti tedeschi, avvenne che quasi tutta la superiore Italia si ordinasse in molte repubbliche, nelle quali poco o nulla rimase dell'antica dominazione imperiale. Dico poco nel fatto, perchè nel diritto rimase qualche reminiscenza del passato. Imperocchè il popolo aveva preso la balia delle città tale quale era in mano dei grandi feudatari. Questi erano addivenuti presso che indipendenti; ed il mandar qualche quantità di danaio all'Imperadore, e qualche nodo di soldati, era tutto l'ossequio che prestavano al Principe. Così anche i Comuni.
Sotto Arrigo IV le città di Lombardia, come Milano Parma, Asti, Cremona, Lodi, si francarono: e poichè con quel Re non morirono le ragioni di discordia tra Roma e Germania, durò mirabilmente l'opportunità di francarsi anche per le altre città. Su la Toscana, morta la Contessa Matilde, disputò Arrigo V col Papa; entrambi volevano quella fiorentissima regione; questi per la donazione che diceva avergliene fatta la Contessa; quegli, perchè era Imperadore. Toscana non fu di alcuno; imitò le città Lombarde: Firenze, Siena, Pistoia, Arezzo si ressero a comune, e ciascuna di queste cercò soggettarsi le città minori. In guisa che dalle Alpi all'Appennino fu un subito levarsi di repubbliche gelosissime di libertà. Ma la ebbrezza che questa mette negli animi di coloro che la conseguitano, è il più terribile nemico, che le minaccia nel nascere. Il francarsi dal Tedesco era molto, ma era mestieri di una grande temperanza a contenere l'ambizione comunale, e provvidenza a munir la esistenza delle giovani repubbliche.
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