Vi fu moltitudine di accusatori, ma Tedeschi: il dramma volgeva al termine; Italiani non comparivano, se ne andava in fumo lo scopo41. Trovavansi a que' dì per avventura in Costanza due dabbenuomini Lodigiani, Albernando Alamano, e maestro Omobuono; condotti colà da certi loro particolari negozî. Udito di quel giudizio universale, pensarono andarvi e levar la voce contro la prepotente Milano; nissuna deputazione avevano della loro patria a farlo. Non essendo comparsi che alla fine di quello strano parlamento, vado sospettando che Federigo li avesse dolcemente invitati: ma questo è sospetto. Un'altro Lodigiano che scriveva proprio a que' tempi42, fedelissimo servidore di Barbarossa, crede vi fossero stati spinti da certa ispirazione divina. Adunque, quei due levatosi in collo una croce, in atto di supplichevoli vennero a porsi ginocchioni innanzi al tribunale di Federigo; e pregandolo di ascolto, incominciarono una pietosa diceria delle miserie che dava loro a soffrire la superba Milano; magnificarono la fede della loro Lodi verso l'Imperio; chiesero, provvedesse ai loro casi, perchè le altre città non prendessero dal loro abbandono conforto a ribellare; ponesse il morso agl'indocili Milanesi, che sconoscevano e si beffavano della sua potenza. Federigo accolse a braccia aperte le opportune querele; e senza porre tempo in mezzo, spedì oratore a Milano un Sicherio Conte del Reno con sue lettere, che esortavano quel comune a fare il suo piacere verso Lodi.
Se ne tornavano in patria i due Lodigiani sicuri della pubblica riconoscenza per quel pietoso consiglio.
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