Fecero un deserto delle fiorenti campagne; due ponti che teneva Milano sul Ticino bene afforlificati abbruciarono; espugnarono, ed uguagliarono al suolo i due castelli di Trecate e Galliate della chiesa milanese52. Voleva Federigo tastare la stessa Milano, ma non si ardì: non era questa un castello, ma una vasta città, ben munita, e quel che era più, piena di popolo confidente nella propria virtù, e che sentiva nel petto rifluire la vita dalla celeste fonte della libertà.
1154. Infatti disperato ogni mezzo a contenere gli sdegni del Tedesco, e persuasi i magistrati, Federigo agognare a guerra, a guerra prepararono la città ed il contado. Vi misero dentro provvigioni quante ne potettero, curarono le munizioni delle mura, fermarono i castelli che erano per la contrada milanese, sollevarono gli animi a generosa difesa. A questo strepito di guerra, Federigo voltò il corso all'esercito verso ponente. Gli era sempre ai fianchi quell'avanzo della vecchia feudalità Guglielmo Marchese di Monferrato, che non poteva più vivere se non vedeva inabbissata Asti e Cheri. Teneva in assedio Barbarossa, perchè il contentasse; e lo contentò. Ripassato il Ticino, celebrato il Natale a Novara, attraversando senza far male il contado di Vercelli e Torino, mosse l'oste contra Asti. Non lo aspettarono gli abitanti, lasciandogli deserta la città. Vi entrò, la dette al sacco, poi alle fiamme col castello di Cheri. Respirò il Marchese53.
Ma Milano gli era spina nel cuore: non osava cozzarla, pensò scalzarle le fondamenta, abbattendo prima le città che le si tenevano amiche.
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