Un dì, traportati dalle furie della vendetta e dalla disperazione della sete, appuntarono ogni loro sforzo agli alloggiamenti dei Pavesi, per discacciarli, e conquistare un po' d'acqua. Fu tale l'impeto, che ove non fosse accorso in aiuto di quelli il Marchese di Monferrato, avrebbero potuto i Tortonesi prendere il largo, accozzarsi ad altre milizie milanesi, che non avendo potuto gittarsi nella città, si tenevano speculando gli eventi dell'assedio dalle vicine terre di Luzano, Orasco e Garlimia56, e con quelle ferir le spalle ai Tedeschi. Vennero ributtati, e tornarono a tener fronte dalle mura. Intanto perchè la fonte che guardavano i Pavesi non potesse venire compra col sangue a giovamento degli assediati, Federigo comandò venisse contaminata di zolfo, bitume, e di cadaveri che vi lasciavano marcire.
Federigo maravigliava che a snidare que' pochi Italiani, che avevano voglia di resistere, vi volesse più di quello che si pensava innanzi. Frugavalo il desiderio di porsi in capo la corona imperiale in Roma: e forse aveva divisato farlo nella festività della Pasqua. Ma i Tortonesi lo sforzarono a stare. Incitava agli assalti a farla finita: un solo Tedesco si spinse audacissimo sino ai merli della torre detta Rossa: ma non fu altri che il seguisse. Pensò minare le mura, che non si reggevano sul vivo degli scogli; e neppur questo gli venne fatto, perchè addatosi i Tortonesi del partito, vennero sotterra ad imberciare la mina, seppellendovi sotto molti che vi si travagliavano, gli altri costringendo a ritrarsi.
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