Questo acuto ed infortunato filosofo espresse a maraviglia tutto l'umano spirito lottante nel XII secolo. Fu in perpetua tenzone; e trionfò di tutti nel chiuso campo delle scuole65: non trovando più nemici a combattere in quelle, si ardì porsi alla ricerca della Verità come uno errante cavaliere in parte ove non pensava che lo scoprissero gli uomini. Sprezzati i documenti della esperienza, fidato tutto alle forze del proprio ingegno, incominciò colle blandizie della ragione a cattivarsi il favore del sovrannaturale, austero guardiano della Verità, perchè glie la desse a vedere. Ma in questo egli fu colto dagli emuli e gridato eretico, quasi drudo sagrilego di quella Verità, cui già stendeva la mano. Rottogli il gran pensiero, il cuore, che aveva caldo di quell'amore, famelico si converse ad Eloisa, che incontrò nella limpida cerchia della sapienza. Fra le sue braccia anche adoperò la ragione a piegare il sovrannaturale, austero guardiano dell'amore del sommo Bello, perchè glie lo rendesse ad affratellarlo a quello della creata bellezza; ma invano: qui pure fu colto dai nemici, che lo finirono66. Verità ed errore, amore ed odio tenzonarono nell'anima di Abelardo; perciò mentre Parigi lo eguagliava ai Filosofi dell'antichità, Roma lo rincacciava tra gli eretici: mentre alle porte del Paracleto mistificava l'amore della rinchiusa Eloisa, acremente rispondeva coll'odio ai suoi nemici. Questi erano cherici; e poichè l'arma che quegli menava a tondo era la ragione critica, i colpi che dava non si arrestavano sull'armadura aristotelica degli avversarî; ma scendevano al vivo.
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