Ma perchè il tenersi sul niego avrebbegli fatta pericolare la corona imperiale, il dì appresso tenne la staffa al Papa, ed ebbe il bacio della pace68.
Federigo ed Adriano, fatti amici, procedevano verso Roma, quando dilungati di un venti miglia da Nepi, comparve una grande deputazione del Senato di Roma a Barbarossa. Erano tutti uomini di lettere: introdotti al regale cospetto, così esposero la loro ambasceria «Noi siamo a te destinati oratori dal Senato e dal popolo di Roma: tu ci ascolta benigno, perchè son queste le parole di una città donna del Mondo, di cui sarai fra poco Imperadore e signore. Se tu vieni recatore di pace, abbiti la corona dell'Imperio, che io ti vengo incontro giuliva a presentarti. E per fermo che tu vieni pacifico; non avendo io onde temere guerra da colui tanto lungamente aspettato, a tormi dal collo l'indecente giogo di schiavitù. Deh! fa che tornino le glorie dell'antica etade, e che nelle mani mie, use al freno del Mondo, te Principe, torni e si aduni il reggimento del Mondo. Tu sai come il senno del Senato, e la virtù dell'equestre ordine per lungo e per traverso distendesse un dì la signoria di Roma. Sai come al morir di quello si risolvesse ogni nerbo di cittadina fortezza. Ora a gloria tua e della Repubblica, è risorto quel venerando consesso. Certo me ne saprai buon grado. Ora misura da quel che ti avesti, il debito che ti corre verso di me. Eri ospite, e cittadino ti resi: straniero transalpino, e ti feci un Re. T'avesti il mio; rendemi il tuo.
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