In tre schiere ebbe questi divise le milizie; nella prima erano i carri e le provvigioni dell'esercito, la seconda tutta di Bresciani da lui capitanata, l'altra di Milanesi. Valicato il ponte, e non osando i Pavesi venire all'aperto, passò oltre Vigevano, ed investì il castello di Gambolato: durò fatica a ridurlo; ma l'ebbe, e lo distrusse. Ripiegarono verso Vigevano i Milanesi colle spoglie del preso castello; alla qual vista i Pavesi con molta furia partirono da Vigevano a combatterli: ma furono accolti vigorosamente, e rincacciati dentro a quella rocca, in cui non potendosi più tenere per fame, in tre dì si arresero a dure condizioni. Fu distrutto Vigevano, e tolto di mezzo questo propugnacolo di Pavia. Nulla avrebbe più impedito ai Milanesi l'andar sopra a questa città, a ridurla nella loro signoria77; la qual cosa se avessero recato ad effetto, non sarebbero stati tratti di nuovo a guerreggiare i Pavesi congiunti ai Cremonesi nella state di quell'anno. Ma fu corta la guerra, avendoli in un solo scontro battuti e fugati. Così fiaccati i nervi ai Pavesi, Milano su i ponti del Ticino e dell'Adda vegliava, e teneva in suggezione da una banda le regioni del Pavese, del Novarese e del Monferrato, dall'altra tutta la valle di Lugano78.
Le vittorie de' Milanesi come umiliarono gli spiriti della parte imperiale, così rilevarono quelli delle Repubbliche a tener fronte al venturo Barbarossa, che tutte si aspettavano minaccioso. Miravano queste all'operosa Milano, e ne toglievano esempio di cittadina virtù. Era grande il pericolo che la minacciava, ma più grande l'animo de' suoi Consoli, che vi andavano incontro con ogni provvidenza.
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