Mi penso che il lettore voglia sapere chi fossero quei Ministri di giustizia, cui si rivolge il Barbarossa, e quasi invoca a sorreggergli sul capo la corona di Augusto. Io lo dirò, premettendo una breve considerazione. Due generazioni di uomini sono formidabili ai Principi: i preti ed i legisti. Quelli padroneggiano il popolo, questi una terribile cosa, che chiamano opinione, colla notizia che essi soli sanno di Diritto. Questo benedetto Diritto che han voluto chiudere nell'inaccessibile rocca delle umane legislazioni, che spesso sono matte ed ingiuste, è una spiritualissima idea, la quale credesi da molti abitar solo nelle leste de' dottori in Legge. Eppure spunta senza sforzo, e dimora nel cuore di ogni uomo ragionevole. Le leggi de' Principi dovevano solamente contenere gli uomini, perchè andassero al Diritto: ma infelicemente i Principi immedesimarono la loro volontà al Diritto, e le loro leggi apparvero anche immedesimate al Diritto. Di questa profanazione vennero accusati dal costume che ne venne di chiamare Diritto la legge di un Imperadore, o Repubblica; e si disse, come dicono, a mo' d'esempio, Diritto Romano, Diritto di Giustiniano, e va dicendo. Rimescolato così il giusto colla legge, il talento del legislatore col Diritto, furono uomini i quali posero il loro intelletto ad apprendere queste leggi, ad esporle, ad applicarle. Morto il legislatore, si resero interpreti della sua mente; e come in questa si trovava incarnato il Diritto, si fecero anche di questo interpreti; e la legge fu in mano loro uno strumento a piegarlo ora a destra ora a sinistra, e a dargli quelle sembianze che meglio si addicevano al proprio, o all'altrui vantaggio.
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