Salde e ben condotte le mura intramezzate da torri che fronteggiavano la campagna, le proteggeva ai piedi un fosso molto affondo con entrovi l'acqua. Se è a prestar fede a Ricobaldo da Ferrara100, un cinquanta mila fanti e sette mila cavalieri stavano a guardia della città. Ne avevano la condotta provatissimi capitani: Uberto Conte di Sezza, Anselmo Conte di Mandello, Auderigo Cassina Conte di Martesana, e Rinaldo Marchese d'Este preposto alle milizie mercenarie. Erano in quell'anno Consoli Ottone Visconte, Goffredo Mainero, Arderico da Banate. Se le provvigioni da vivere fossero state sufficienti al numero de' rinchiusi, certo che Federigo nè per patti, nè per forza avrebbe ottenuta Milano. Poichè dentro era il fiore dei battaglieri italiani, ed un vecchissimo odio contro la tedesca gente che cresceva a dismisura per le strettezze dell'assedio; ed egli aveva milizie mal ferme, le quali per malattia che loro si fosse appiccata, o per troppo prolungarsi della campagna, lo avrebbero abbandonato per tornarsene in Germania.
Furono primi i Milanesi a menar le mani. Avevano al primo giungere dell'esercito nemico mandati fuori de' drappelli leggieri, i quali con frombole ed archi or quà or là noiavano i tedeschi alloggiamenti, quasi a saggiare il nemico. Spesso vi tornavano quasi a dar le viste che non si ardissero gli assediati tentare più grosse fazioni. Intanto questi avevano adocchiati gli accampamenti di Corrado Conte Palatino del Reno, fratel germano di Barbarossa, e di Federigo Duca di Svezia, i quali formando l'estrema punta dell'esercito, erano un po' discosti dal nerbo delle milizie.
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