Venne questa piantata sul campanile del duomo: e mi penso che tutta Italia s'intenebrasse di lutto alla vista dell'infame uccello; il quale avvegnachè avesse spuntato il rostro a Legnano, non guastatogli il nido, tornò a contristare l'infortunato paese.
La dedizione di Milano levò grandemente in superbia l'animo di Federigo; e come suole avvenire, la prosperità de' successi lo imbriacò, da non fargli rispettare la santità de' giuramenti. La pazza notizia di poter tutto, lo persuase potere anche impunemente violare i patti di quella resa. Egli aveva spogliato Milano della signoria di Lodi e di Como, ma non delle altre terre che riconoscevano la balia Milanese; perciò giurate le anzidette condizioni, Barbarossa non poteva più a suo talento accorciare la signoria di Milano. Ricordi il lettore quello che toccammo nel primo libro di queste storie intorno al freno che le Repubbliche Lombarde misero in bocca ai signori feudali, tirandoli alla condizione di semplici cittadini. Ora questi rodevano il morso, e spiavano sempre il destro a levare il volo, e tornare in punto di veri signori: e come più potente era la Repubblica, cui obbedivano, più cocente desiderio avevano di disfrancarsene. Questi signori feudali erano un tesoro in man di Federigo, come preziosissime erano le gelosie municipali. Aizzare le città minori contro Milano, scapestrare i Conti ed i Marchesi contro tutte: ecco in che era lo studio dello scaltro Imperadore. Per la qual cosa lasciato che ebbe Federigo il territorio Milanese, condottosi a Monza a pavoneggiarsi colla corona in capo di Re d'Italia, accolse a braccia aperte tutti quei signorotti, che tenevano feudi nei territori del Seprio e della Martesana, accorsi a lui, perchè li avesse sottratti alla giurisdizione di Milano.
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