Ma quelli fecero i sordi; e come gente che era forte in casa propria, mandarono dicendo all'Imperadore, loro essere poveri, e non usi ai tributi; spendere molto a tener netta la marina dai corsali, ed ai balzelli che colpivano le loro merci al difuori, e non avanzare pecunia da dargli; si stesse contento alla fede che gli promettevano, e non pensasse ad altro. Mentre si recavano all'Imperadore queste proteste, in Genova si facevano cose mirabili per assicurare la città. Uomini o donne per otto dì incessantemente si affaticarono a rilevarne le mura, ed a serrare i siti aperti con isteccati. I Consoli assoldavano buon numero di balestrieri ed arcieri; li disposero alla difesa della città, e li andarono collocando su pei monti che le sono a cavaliere: aspettavano confidenti il certo avvento dell'Imperadore.
Infatti costui, chiusi i comizi di Roncaglia, si condusse tosto a speculare le cose di Genova. Poche milizie gli rimanevano; molte all'entrar del verno eransene tornate in Germania, altre furono disperse per l'Italia a dar polso alle nuove leggi che imponeva Federigo alle città. Perciò non poteva galleggiare a sua posta. Anzi ebbe a divorare, come vedremo, molte vergogne nel primo porsi che fece in punto d'Imperadore del Mondo. Adunque venuto a certo sito chiamato Bosco, lo incontrarono gli ambasciadori di Genova, e fra questi l'annalista Caffaro; i quali rinnovatagli la protesta fatta per lettere, aggiunsero, essere desiderosi del suo buon volere e della sua grazia; bensì non si desse pensiero delle cose loro, nè di ascoltare pianti e lamentazioni, come aveva fatto colle altre città italiane; e non li stesse a molestare con rivista di ragioni, debitamente o indebitamente possedute, salvo se li vedesse a mo' di ladroni messi all'agguato per ispogliare i viandanti.
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