Federigo mandò un precetto ai Piacentini che abbattessero le mura e le torri della loro città che si alzavano oltre una determinata altezza: quelli fecero le viste di obbedire, e nulla ne fecero. Spedì Legati ai Cremaschi, perchè facessero lo stesso: ma questi che erano per dare al mondo un esempio d'invittissimo animo, non con le parole, ma coi fatti risposero agl'impudenti messaggi, levandosi contro di loro con tanta furia, che a mala pena camparono la vita. Tornarono quelli al lor signore con questa novella; il quale se ne addolorò; ma nulla fece, perchè non poteva118.
Andavano intanto imperiali ministri per le città italiane insaccando pecunia, sciogliendo il reggimento comunale, e ponendo in ufficio i Podestà tedeschi. Nelle città che tenevano le parti cesaree, le cose si piegavano senza sforzo, ma quelle che non volevano sapere d'Imperadori tedeschi, era un'affare ben difficile far loro sentire sul collo il giogo di Cesare. Tra queste Milano. Gli animi in questa città erano oltremodo inaspriti per la impudenza con cui Barbarossa aveva rotti i patti giurati, allorchè gli si arresero; ed erano in grande apprensione del loro avvenire dopo il convento di Roncaglia. Tuttavolta gli spiriti si tenevano lontanissimi dall'inchinarsi a Federigo e dal prostituirgli la patria. Giungevano nelle loro mura Rainaldo Arcivescovo di Colonia, ed Ottone Conte Palatino. Venivano deputati da Barbarossa a togliere quello scandalo della loro Repubblica, a lasciarli in compagnia di qualche Podestà, con cui non potevano pure tener consorzio di parola.
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