Furono invero decentemente accolti, ed ospitati nel monastero di S. Ambrogio. Ma come esposero ai rettori della città la ragione del loro avvento, e la volontà di Federigo, che si lasciassero aggiogare, si gittarono in mezzo al popolo tre nobilissimi cittadini Azzio Baltrasio, Castellino Ermenolfo e Martino Malopera, e con parole di fuoco lo sollevarono a difendere l'inestimabile tesoro della libertà. Per cui un repentino gridare di tutto il popolo contro allo straniero maestrato che veniva, ed un accorrere a furia contro i due Legati per levarli di vita. Furono questi ben fortunati di camparla, abbarrando a tempo gli usci del monastero. Se ne andarono poi assai scontenti; e specialmente l'Arcivescovo fu così preso da interno desiderio di vendetta, che da quel dì la più grata idea, che vagheggiasse, fu l'esterminio finale di quella riluttante città. Federigo seppe tutto, e nulla potè fare: diè le viste di non curarsene, e tacque: così dice Morena119. Ma secondo Radevico, egli si dette con grande studio a provvedere; perchè i Milanesi dicevano, e facevano davvero. Cercò dapprima intimorirli, stando in certo castello detto Marmica, coi soliti bandi, con cui citava i Milanesi a comparirgli innanzi. Questi vi mandarono i loro messaggi, e tra i quali l'Arcivescovo, quello stesso della famosa diceria; il quale non sapendo onde navigare tra gli scogli e le sirti, s'infinse infermo, e se ne tornò a casa. Gli altri andarono, e con fronte alta stettero ad ascoltare l'impudente rampogna, che gittava loro in viso l'Imperadore, per la violata fede.
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