E chi di noi, avvegnachè certo di tranquilla vita, con questa spina nel cuore, reggerà alla vista di questo sole? Oh! benigni i Cieli ci tolgano con questa morte la miserabile vista di questa nostra città, di questa santa patria per nemiche mani inabbissata per sempre!» Generose parole, che chiusero gli animi in una fortissima idea tutta di cielo, e più non videro su quella macchina di guerra congiunti ed amici, ma la sola patria che li chiamava figliuoli. E con incredibile furia incominciarono co' sassi a tempestare il gatto. Una così sfolgorata virtù, che i Tedeschi chiamarono ferocia, stupefece l'Imperadore, che fatta dare indietro la macchina, e calare i sospesi, furono trovati morti de' Milanesi Cademelio da Pusterla, Anrico da Landriano con altri due; de' Cremaschi poi, un sacerdote, Truco da Bonate, Arrico da Galiosso con altri due. Alberto Rossi ebbe rotte le gambe, Giovan Gareffi le braccia. Rimanevano altri ancora vivi sul ferale castello, che spinto di nuovo, venne orribilmente investito colle petriere. Erano i Cremaschi persuasi, che la libertà si compra solo col sangue, e che quelli non fossero che vittime immolate sull'altare della patria140.
E qui incominciò una serie di feroci rappresaglie per la efferata malizia del Barbarossa. Imperocchè i Cremaschi traportati da furibonda vendetta verso di lui, che li rendeva carnefici di que' loro cari, trascinarono su gli spaldi quanti avevano prigionieri tedeschi ed italiani, e veggente l'Imperadore, l'impesero co' lacci alle mura.
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