La resa e la distruzione di Crema levò in grande superbia l'animo di Federigo, il quale come se quella cittaduzza fosse stata tutta l'Italia, spedì lettere per l'Imperio recatrici di cotanta vittoria158. Andò in Pavia con l'esercito a celebrarla con isplendido trionfo; e con pubbliche supplicazioni ne riferì grazie a Dio159. Ma non era solo la inabbissata Crema che gli rallegrava gli spiriti, bensì anche le cose che a quei dì succedevano in Roma; le quali gli davano quasi a palpare come veri i sogni della smisurata sua ambizione. La morte di Adriano lo aveva liberato dal terrore di vedersi innanzi minacciosa ed unita quella Lombardia, che già credeva fermata sotto i suoi piedi; e gli apriva la via ad intrudersi nella Chiesa, a cansare un Papa che vero Papa fosse. Come adoperasse il malo ingegno in questa pessima opera, e dove gli riuscissero gli sforzi, io conterò con molta soddisfazione dell'animo. Imperocchè apparirà chiaro dalle cose a narrarsi, come questo Imperadore Tedesco per recarsi nella turpe suggezione questa nostra Italia, dovette nientemeno che venire a cozzo con Dio stesso, e mettergli a sbaraglio la Chiesa.
Fatte le esequie al morto Adriano, convennero i Cardinali nella Chiesa di S. Pietro a scegliere un nuovo Papa. Non era dubbio della via a tenere in un negozio tanto grave, stante che era ancor fresco il decreto bandito da Niccolò II intorno al medesimo. Aveva sancito, tenendo le poste de' santi Padri e de' suoi predecessori, doversi dapprima dai Cardinali Vescovi trattare dell'elezione del nuovo Papa, poi chiamarvi gli altri Cardinali cherici, e finalmente richiedere tutta la cheresia ed il popolo del loro consenso.
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