La qual cosa quasi lo certificò della vittoria, e pensando non essere a fare altro che inseguire i vinti, si ritrasse nella tenda a posarsi.
Ma ben altrimenti andavano le cose nell'opposta ala dell'esercito milanese, la quale sorretta dalla presenza dell'Arcivescovo e degli altri sacerdoti, non che balenare, teneva fermo; e dette il tempo a quelli di Ursinico e di Erba a sopravvenire opportuni onde ristorare la battaglia. Queste due terre eransi date a Milano: la prima aveva già accolto un presidio di dugento Bresciani. Allorchè videro i terrazzani a mal termine i Milanesi tempestati da Federigo e l'ala dell'Arcivescovo troppo premuta da tutta la mole della battaglia, discesero a stormi dalle loro colline, e con inaspettati assalimenti sconcertarono le ordinanze de' Tedeschi. Questi si trovarono in un punto accerchiati, e talmente stretti, che al fuggire e al combattere erano impotenti. Si levò un grande rumore ed un gridare, che Federigo pensò essere de' suoi, che già afferravano la vittoria. Perciò stato alquanto in orecchio, disse ad uno che gli era di accosto - Che è? vincemmo? - Siam vinti noi, per Dio, rispose questi: non vedi tu come i nemici oppressano da ogni banda i nostri, li spogliano, li macellano? non vedi come la fortuna ci diserta? - Al che il Barbarossa preso da grave spavento, con un duecento freschi cavalieri si diè a fuggire per la valle di Ursinico e di Mantorfano, e non si arrestò che a Como: ove non si tenendo pur sicuro, andò a rinchiudersi nella rocca di Baradello.
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