È a dire che da qualche tempo que' monaci vezzeggiassero il Barbarossa218.
Ma non cessò con queste pacifiche apparenze l'eccidio di Milano; sospeso per un dì, incrudì poi per insaziabile vendetta del ribaldo Principe. Gli davano ombra i campanili delle chiese non tocchi, e massime quello della metropolitana, che era una delle maraviglie d'Italia per la sua altezza, e la eleganza delle forme219. Anche i campanili vennero abbattuti; e questo di S. Ambrogio fu con tanta malizia de' guastatori diroccato, che nel cadere rovinò molta parte della Basilica220. Fu la fine di Milano comandata da straniero imperante, compra ed operata da fraterne mani. Il suo popolo andò disperso, ma non intanto che la inestinguibile carità della patria non ne ritenesse la maggior parte attorno alle sue rovine, pronti al benigno riguardo de' cieli di rilevarla col sudore delle loro fronti, e propugnarla col sangue.
Finalmente ritraevasi satollo di vendetta quel divino Augusto, con tutta Italia in pugno221, e con lui le turbe guastatrici. Andò in Pavia a celebrare il trionfo. Questo avrebbe dovuto intenebrare di lutto ogni anima italiana: eppure era tanto il timore che sparsero le tedesche ferocie, che di Conti, Marchesi, Consoli di comuni, Vescovi ed Abati convenne una moltitudine assai grande in Pavia, a far plauso alla esultanza di Federigo. Questi aveva fatto sagramento dentro del cuore di non imporsi mai sul capo la corona del Lombardo reame, innanzi che avesse umiliata Milano: distruttala dalle fondamenta, fu ben francato ad incoronarsi a suo talento.
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