Colla forza e col danaio tolse dall'obbedienza del Papa molte terre e città che erano ne' contorni di Roma, facendole giurare al suo Pasquale. A quelle che vollero resistere, fece pagare il fio col sacco e col fuoco. Una furibonda guerra esercitava questo pessimo prete sotto gli occhi del Papa. Tempestava di fuori, si affaticava dentro Roma coll'oro a corrompere; e corruppe moltissimi, che l'aver Pasquale od Alessandro a Papa, o averli entrambi era tutt'uno, ove s'avessero avuto quel sommo bene della pecunia. Moltissimi si girarono all'Antipapa279.
Trafiggevano l'animo del Pontefice questi turpissimi e frequenti mutamenti dello Romano popolo, tanto cagionevole nella fede giuratagli, che ad ogni spruzzo di danaio villanamente lo disertava. Adoperò ogni mezzo a contenerlo in ufficio: lo ammonì con paterne parole, a starsene stretto colla Chiesa, a non separarsi da lui, a far tutti uniti testa al prepotente nemico; profferì l'ecclesiastico tesoro per la difesa. Ma fu tutto invano: tra il balenare dei timidi, e l'aperta ribellione degli audaci, de' tanti che l'avevano festeggiato l'anno innanzi, non si trovò uno che gli facesse viso da amico280. Eppure italiani spiriti riscaldavano quel pontificale petto. Non la sola ragione divina della Chiesa egli voleva difendere, bensì anche quella umana della comune patria; e ne dette uno splendido argomento in quello che si passò tra lui ed il Greco Imperadore.
Emmanuele dei Comneni teneva a quei tempi il trono di Costantinopoli; uomo di molta ambizione, e di eguale virtù militare.
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