Si tenne su i generali, cioè che Federigo non volesse più continuargli la guerra, e terrebbe valide le sue ordinazioni. Poi si ravvolse in tante ambagi di parole, che il Pontefice non cavandone costrutto, lo stimolò forte ad uscire in più chiare e ricise sentenze. Ma il Legato stringendosi nella persona, gli disse netto, che non altro recava, e che non poteva chiarire nè rimutare il detto. Leso da questa insolenza il pontificale decoro, Alessandro, ritrattosi alquanto a deliberare co' suoi, lanciò queste nerborute parole all'irriverente messaggio: «Ci reca una grande maraviglia, o diletto fratello in Cristo, codesta tua accortezza; poichè ti se' fatto recatore a noi di certe ambasciate, che tu stesso ignoravi, a noi, che ben sappiamo qual volpe sia colui che qui ti manda. Che è mai questo riconoscere valide le ordinazioni da noi fatte, e sconoscere quella, per cui, avvegnachè indegni, succedemmo nell'Apostolico seggio al B. Pietro, se non un'onorare e bestemmiare ad un tempo lo stesso Dio? La nostra causa è giudicata dall'universa Chiesa, che ci presta obbedienza. Se questo tuo Imperadore è vago di far parte del gregge commesso dai Cieli al B. Pietro, chi lo tiene dal piegare una volta il collo innanzi all'Apostolico Principe, e dal rendersi membro della Cattolica unità? Noi siami quì paratissimi, ove il voglia, ad onorarlo, ben volergli, e conservargli ogni diritto: ma sia egli pur devoto amatore, qual figlio della sacrosanta R. Chiesa, che lo ha innalzato a cima d'Impero, e non osi toccarle l'inestimabile tesoro della libertà» Con queste ed altre più amare parole accomiatò il Legato; e perchè non lasciasse negli animi ombra delle bramate suspicioni, lo diè a guardare ai Lombardi nel ritorno a Federigo344.
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