Questo simbolo della patria, che torreggiava tra i Lombardi, sorresse mirabilmente gli animi, e da lui fu tutta da derivarsi la vittoria che conseguirono. Lo tenevano sbarrato de' loro petti uomini che non combattevano al cenno di altro uomo, ma combattevano sotto gli occhi di Dio e della Patria. Perciò quando Federigo venne furiosamente ad assalirli, quelli non solamente puntarono a tenergli fronte, ma con molto ardimento mescolandosi, si sforzavano ributtarlo e romperlo. Quivi si sboglientò crudelmente la battaglia. Pericolava la sacrosanta insegna del Carroccio. Già vi si accostavano gl'imperiali, quando la terribile Compagnia della Morte levando alta la voce, rinnovò il giuramento di porre la vita per la Patria; e con sì forte ed unito assalto si strinse sul nemico, che ne intronò tutte le ordinanze, e le scompigliò. Combatteva alle prime file il Barbarossa come soldato gregario, ed in vero in quel dì fece di molte prodezze. Ma nè la riverenza della imperiale persona, nè il vecchio odio contro l'italiana gente potè più lungamente tenere nella battaglia i Tedeschi. Sconciamente danneggiati, vennero a furia volti in precipitosa fuga. Molti si annegarono nel Ticino; per otto miglia corsero i Lombardi colle spade a' reni de' fuggiaschi. Di Federigo non si sapeva: mortogli sotto il cavallo, e trabalzato d'arcione, ed involto nello sbaraglio delle milizie, così cautamente celossi a campare la sua vita, che non fu dubbio presso i suoi della sua morte. Andarono in cerca del suo cadavere per fargli l'esequie; e l'Imperadrice che l'aspettava in Pavia certificata della sua morte, prese le gramaglie.
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